La disastrologia veterinaria
Un po’ di storia
La disastrologia veterinaria italiana è nata quando, in occasione del terremoto dell’Irpinia del 23 novembre del 1980 il Ministero della Sanità-Direzione Generale dei Servizi Veterinari – incaricò il Prof. Adriano Mantovani, docente presso la Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna di coordinare le attività veterinarie nelle zone colpite dal sisma.
Dopo l’avvento del terremoto, infatti, era necessario attivare rapidamente la macchina dei soccorsi al fine di portare in salvo i superstiti e fornire loro le prime cure sanitarie e l’assistenza logistica di cui avevano bisogno. L’allora Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, sottolineò la lentezza dei soccorsi nei confronti dell’emergenza in atto esortando in tal modo una loro velocizzazione. Fu dopo tale “richiamo” che il Prof. Adriano Mantovani ricevette una telefonata dall’allora Direttore Generale dei Servizi Veterinari presso il Ministero della Salute Prof. Luigino Bellani affinché si recasse in Campania per apportare il suo contributo nella gestione dell’emergenza veterinaria.
La squadra di veterinari, composta da studenti e veterinari, si occupò della riorganizzazione dei servizi veterinari, dello smaltimento delle carcasse, della gestione dei cani vaganti; si attivò per il recupero e per il ricovero degli animali per il ripristino delle attività di macellazione degli animali, della raccolta e distribuzione del latte. Da questa esperienza, intorno al Prof. Mantovani si è costruita, negli anni, una scuola di veterinari che, successivamente al 1980, è stata chiamata alle numerose emergenze che hanno colpito l’Italia: terremoti (Marche e dell’Umbria 1997, Puglia e del Molise 2002, Abruzzo 2009), alluvioni e frane (fiume Po 1994 e 2000, Versilia 1996, Sarno, Quindici e Bracigliano 1998).
Nel terremoto dell’Irpinia dobbiamo ricordare anche il ruolo di Vittorio Carreri che per conto della Regione Lombardia aveva coordinato i soccorsi sanitari. La Regione Lombardia ha tratto una rilevante esperienza dal terremoto dell’Irpinia del 23 novembre 1980 dove aveva impegnato circa 1000 operatori per urgenze ed emergenze sanitarie ai fini della protezione civile un intero anno. Secondo il coordinatore degli interventi lombardi, in quelle circostanze sono state più le esperienze positive fatte di quanto si sia potuto dare nelle zone di intervento, organizzate in due centri operativi di intervento: Teora e Solofra, in provincia di Avellino. L’intervento era supervisionato, h 24, dal Sevizio igiene e sanità pubblica della Giunta Regionale Lombarda con sede a Milano. Nel mese di settembre 1981, quasi un anno dopo il disastroso terremoto, la Regione Lombardia pubblicava le “Linee del progetto regionale lombardo per l’emergenza e l’urgenza sanitaria”. Nel 1985 i Dipartimenti di Prevenzione, ben 15 su tutto il territorio della Lombardia, 7 anni prima del decreto legislativo 502/1992, entrarono in azione specie nelle calamità naturali e non (alluvioni, frane, esondazioni, incidenti industriali, incidenti stradali, tossinfezioni alimentari, inquinamenti dell’acqua usata per il consumo umano, eccetera).
Due dei protagonisti degli interventi sanitari in Irpinia, il prof. Adriano Mantovani e il dottor Vittorio Carreri furono inviati dal Governo nazionale, su richiesta dell’OMS, ad un Seminario di esperti nelle calamità a Rabat in Marocco nel mese di novembre 1981. La delegazione italiana presentò il progetto di intervento nelle zone terremotate dell’Irpinia tramite il gemellaggio tra le Regioni. In particolare le prime Regioni gemellarsi in occasione del terremoto dell’Irpinia furono la Lombardia, l’Emilia-Romagna e la Campania.
Con Carreri e Mantovani, in Irpinia nasce quella che oggi viene definita la One Health nelle emergenze.
2010 – il documento di Pertosa
Una tappa fondamentale nell’evoluzione delle attività di previsione e prevenzione per la mitigazione dei rischi e la gestione delle maxiemergenze, è il cosiddetto documento di Pertosa del 2010. Nel documento furono affrontati i temi della centralità della Sanità Pubblica, inclusa la Veterinaria nelle attività di gestione sanitaria delle emergenze non epidemiche, l’esigenza di adeguate procedure per la sicurezza alimentare in situazioni di emergenza, e più in specifico nelle aree di accoglienza, la formazione del personale che opera nelle cucine da campo e in altre attività sensibili dal punto di vista sanitario, la necessità di garantire la salvaguardia dell’economia agro-zootecnica delle aree colpite da gravi calamità, attraverso la tutela del patrimonio zootecnico e la difesa dell’ambiente
Un aspetto importante del documento è stato di rimarcare la necessità di implementare la collaborazione medico/veterinaria all’interno del Dipartimento di Prevenzione, e tra quest’ultimo e il Servizio di Emergenza 118, per assicurare una linea omogenea negli interventi di sanità pubblica e evitare sovrapposizioni di competenze e interventi con le altre “anime” della prevenzione.
Fu sottolineato nel documento che la diffusione degli animali da compagnia aveva reso necessario organizzare e assicurare una corretta gestione di questi animali nelle aree di accoglienza allestite sul territorio, così come nelle strutture alberghiere che hanno ospitato le persone che hanno subito danni alle proprie abitazioni nonchè il ruolo del volontariato zoofilo e animalista aveva partecipato agli interventi successivi al sisma in misura mai registrata in eventi precedenti.
Già nel documento del 2010 si auspicava l’attivazione di un tavolo permanente presso il Ministero della Salute, di concerto con il Coordinamento delle Regioni e il Dipartimento della Protezione Civile e con la partecipazione di tutte le componenti della Veterinaria (Ministero, ISS, Regioni, ASL, IZS, Ordini, Società scientifiche, Volontariato zoofilo), finalizzato al coordinamento delle iniziative, alla condivisione delle informazioni e alla predisposizione di indirizzi operativi e linee guida per la gestione delle emergenze non epidemiche ed un ruolo per le Facoltà di Medicina Veterinaria nel promuovere l’elaborazione di una didattica che fornisse ai futuri colleghi gli elementi base nel settore della gestione delle emergenze non epidemiche e della protezione civile.
Adriano Mantovani
Adriano Mantovani nasce nel 1926 ad Altedo, frazione del comune di Malalbergo, nella bassa bolognese. Ha un percorso formativo singolare e atipico: ragazzo uscito dal proletariato rurale e proiettato nella piccola borghesia urbana, per merito della madre che, contadina analfabeta, si ritrova grinta e capacità imprenditoriali tali da permetterle di trasformare il destino suo e di tutta la famiglia. Per cui a 7 anni esce dal dialetto bolognese (che resta la sua lingua madre) e si avventura nell’italiano, prima delle quattro lingue di lavoro che userà nella vita.
Decide di iscriversi al liceo scientifico dove prende la maturità. Entra nella Resistenza ed è una scelta che dura per tutta la vita. Nel 1945 si iscrive alla Facoltà di Medicina Veterinaria di Bologna: la scelta è da ascriversi alla volontà di rientrare nel mondo rurale dal quale proveniva. Entra subito come allievo interno nella Clinica Medica Veterinaria diretta dal professor Albino Messieri. Si laurea nel luglio del 1948 e per tutto il 1949 lavora come borsista, nel 1950 poi si trasferisce a Teramo, presso l’Istituto Zooprofilattico diretto dal professor Giuseppe Caporale dove rimane sino al 1962, prima come assistente, poi come aiuto e infine vicedirettore. Nel 1951-52 trascorre 18 mesi negli Stati Uniti conseguendo un Master in Sanità Pubblica all’Università del Minnesota. Nel 1962 si trasferisce all’Istituto di Parassitologia della Facoltà di Medicina dell’Università di Roma, diretta dal professor Ettore Biocca, dove rimane fino al 1965, quando viene chiamato a Bologna, presso l’Istituto di Malattie Infettive della Facoltà di Medicina Veterinaria, di cui riceve la direzione e dove diventa professore di ruolo, incarico ricoperto fino al 1982. Si trasferisce poi a Roma a dirigere il Laboratorio di Parassitologia presso l’Istituto Superiore di Sanità e il Centro di Collaborazione OMS/FAO per la Sanità Pubblica Veterinaria. Ha ricoperto diversi incarichi, nell’elenco che segue ricordiamo i principali:
- fondatore e primo presidente dell’Associazione Italiana Veterinaria per Piccoli Animali (1961-66) e vice presidente dell’Associazione Mondiale;
- è stato tra i fondatori dell’Associazione Italiana di Medicina Tropicale;
- componente del Consiglio Superiore di Sanità (1974-82)
- componente del Consiglio Superiore della Protezione Civile dalla fondazione nel 1995;
- segretario della Federazione Mondiale dei Parassitologi (1971-87);
- dal 1972 a tutt’oggi componente del Comitato Esperti sulle Zoonosi all’OMS;
- dal 1972 ha svolto funzione di Presidente, vice-presidente ed esperto in gruppi di lavoro dell’OMS, FAO, OIE e CMZ.
Nel 1989 riceve il premio dell’Office International des Epizooties per la Sanità Pubblica Veterinaria e nel 2004 il Premio Kirone per la storia della Veterinaria. Ha conseguito la libera docenza in microbiologia e immunologia (1957) in parassitologia (1963). Ha svolto attività di consulenza e insegnamento in diversi paesi di tutti i continenti. Fondamentali sono stati l’insegnamento e l’amicizia di maestri come Albino Messieri, Giuseppe Caporale, Ettore Biocca, Libero Aiello, Luigino Bellani. Ha collaborato alla Riforma Sanitaria del 1978, una delle migliori riforme sanitarie a livello mondiale con i servizi veterinari pienamente inseriti nella sanità. Nel 1984 ha collaborato con L. Bellani nell’organizzazione della Seconda Conferenza Nazionale sullo Stato Sanitario del Paese dedicata a “Sanità animale e Sanità pubblica”, dimostrando il peso politico acquisito dalla veterinaria. Sin dall’inizio ha dato molta importanza all’attività divulgativa e si è iscritto, come pubblicista, all’ordine dei giornalisti. Mantovani ha fornito particolari contributi che hanno potuto svilupparsi non solo a livello nazionale ma anche internazionale come conseguenza dei ruoli rivestiti nella Sanità italiana e nelle organizzazioni internazionali sui seguenti argomenti:
- lo sviluppo della teoria e della pratica della Sanità Pubblica Veterinaria;
- la collaborazione iter disciplinare e sviluppo del concetto di medicina unica;
- l’igiene urbana veterinaria;
- la valutazione delle malattie degli animali e delle zoonosi su basi sociali ed economiche;
- l’epidemiologia;
- l’azione veterinaria nelle emergenze non epidemiche sia naturali sia provocate dall’uomo.
Finalità della sua didattica, all’università e nei corsi extra-universitari, è sempre stata quella di puntare sulla formazione di professionisti in grado di praticare la Veterinaria in tutti i settori della sanità pubblica (controllo delle malattie, sicurezza alimentare, emergenze, ecc.), partendo dalle esigenze del territorio. Mantovani ha cominciato a interessarsi di politica con la Resistenza. Si è schierato con il Partito Comunista, posizione che ha mantenuto nel tempo con comprensibili difficoltà. Nel 1950 ha cominciato a collaborare con la rivista “Riforma Agraria”, negli anni ’70 gli è stato attribuito il ruolo di coordinatore del gruppo veterinario comunista. Durante il periodo di attività (1970-1987) ha svolto un’intensa azione di collaborazione coi gruppi veterinari degli altri partiti: seminari, pubblicazioni, stage sul territorio di studenti e giovani laureati; sono inoltre state pubblicate due linee guida, dirette ai pubblici amministratori, sulla gestione dei servizi veterinari. Le attività del gruppo veterinario comunista sono state presentate al Congresso Mondiale di Storia delle Veterinaria di Wittemberg nel 2002.
Il documento di Catania
A Catania il 13 maggio 2016 in un Convegno sulla “Gestione delle emergenze non epidemiche in sanità pubblica, la risposta alle emergenze ambientali: ruolo e attività dei dipartimenti di prevenzione delle AASSLL in tema di sicurezza alimentare” fu prodotto un documento sul Dipartimento di Prevenzione legate alle emergenze e un approfondimento sul Macro Obiettivo 2.10 del Piano Nazionale Prevenzione PNP 2014/2019. Il Piano prevedeva la predisposizione di piani operativi regionali integrati di intervento per la gestione delle emergenze/eventi straordinari e lo svolgimento di esercitazioni su scala regionale.
Nel documento si sottolineava l’Attivazione dei Comitati dei Direttori dei Dipartimenti di Prevenzione delle AA.SS.LL. in ogni regione, allargato al contributo delle Società scientifiche e delle Università e, in rete, con il Sistema Complesso di Protezione Civile , l’elaborazione di un prototipo di linea guida per la redazione dei piani di emergenza e per la messa in sicurezza dei territori, per la tutela della popolazione umana/animale e la sicurezza alimentare che sviluppi modelli di interventi e procedure condivise e uniformi sull’intero territorio nazionale.
Nel documento si sottolineava anche l’opportunità di un programma di rilancio dei comparti agro-alimentari e zootecnici, coinvolgendo i rappresentanti dei produttori e dei consumatori colpiti da eventi avversi e l’elaborazione di una didattica che fornisca ai futuri colleghi gli elementi base nel settore della gestione delle emergenze.
Il nuovo Codice della Protezione civile, il soccorso agli animali e le nuove sfide
Un passo importante è stato raggiunto nel 2018: le calamità naturali sono considerate una catastrofe anche per gli animali, che dunque dovranno essere salvati in un piano di interventi emergenziali della Protezione civile. A riconoscerlo è la nuova riforma per la protezione civile. Dal 2 gennaio 2018, infatti, il Servizio Nazionale è disciplinato dal Codice della Protezione Civile (Decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 2018), con il quale è riformata tutta la normativa in materia. All’interno del testo c’è la novità che oggi costituisce una prima europea. L’Articolo 1 del nuovo Codice della protezione civile definisce infatti il servizio come «l’insieme delle competenze e delle attività volte a tutelare la vita, l’integrità fisica, i beni, gli insediamenti, gli animali e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da eventi calamitosi». L’articolo 2 definisce l’attività di protezione civile come «l’insieme, integrato e coordinato, delle misure e degli interventi diretti ad assicurare il soccorso e l’assistenza alle popolazioni colpite dagli eventi calamitosi e agli animali». Nella pratica, il riconoscimento servirà ad attivare, in casi di calamità, piani di emergenza per soccorrere e salvare gli animali, grazie all’intervento dei servizi veterinari delle Asl e delle associazioni animaliste. Al risultato ha contribuito anche il CeRVEnE sulla base dei risultati ottenuti negli anni in ambito dei piani di emergenza e in base all’insegnamento di Adriano Mantovani che dal 1980 con il terremoto in Irpinia, istituì la disastrologia veterinaria.
Da tutto questo si deve prendere spunto per un rilancio delle iniziative nel settore della medicina veterinaria delle catastrofi. In particolare si sottopongono le seguenti proposte e raccomandazioni:
- le attività di preparazione dei servizi sanitari per la gestione delle grandi emergenze dovrebbero rientrare sempre nei Livelli Essenziali di Assistenza e nel Piano Nazionale di Prevenzione;
- è auspicabile l’attivazione di un tavolo permanente presso il Ministero della Salute, di concerto con il Coordinamento delle Regioni e il Dipartimento della Protezione Civile e con la partecipazione di tutte le componenti della veterinaria (Ministero, ISS, Regioni, AASSLL, IIZZSS, Ordini, Società scientifiche, Volontariato zoofilo), finalizzato al coordinamento delle iniziative, alla condivisione delle informazioni e alla predisposizione di indirizzi operativi e linee guida per la gestione delle emergenze non epidemiche;
- le Facoltà di Medicina Veterinaria dovrebbero promuovere l’elaborazione di una didattica che fornisca ai futuri colleghi gli elementi base nel settore della gestione delle emergenze non epidemiche e della protezione civile, valorizzando tutto quello che è stato prodotto in questi trent’anni di attività e si attivi per un mirato percorso formativo, post laurea, per fornire ai Veterinari del SSN, ai Veterinari Libero-Professionisti e quanti, a vario titolo, siano collegati alle attività veterinarie, tutti gli elementi utili per pianificare e gestire emergenze non epidemiche;
- la formazione dei veterinari nella risposta ai disastri naturali deve essere promossa a tutti livelli della professione, in quanto non si tratta di un’attività specialistica, ma di un compito d’istituto dei servizi veterinari pubblici;
- i servizi dei Dipartimenti di Prevenzione sanitari devono pianificare e assicurare la risposta, nei settori di competenza, per la risposta alle emergenze non epidemiche, in modo integrato con la pianificazione di emergenza elaborata a livello nazionale, regionale e provinciale;
- gli Istituti Zooprofilattici Sperimentali, possono svolgere un ruolo importante in fase di previsione, valutazione e prevenzione dei rischi, ma anche in fase di monitoraggio dell’impatto sanitario degli eventi naturali e antropici;
- il numero crescente di animali da compagnia, inclusi quelli esotici e non convenzionali, e la maggiore sensibilità verso il benessere animale anche in situazione di catastrofe, impongono un’azione coordinata tra servizi pubblici e liberi professionisti, ma anche un percorso di collaborazione e formazione con le associazioni di volontariato; al riguardo, è necessario trovare un’adeguata cornice giuridica e amministrativa per assicurare il concorso di queste risorse;
- le linee guida sull’azione veterinaria nelle emergenze non epidemiche del 1998, elaborate congiuntamente dall’allora Ministero della sanità e dal Dipartimento della protezione civile, dovrebbero essere aggiornate considerando le esperienze più recenti, le modifiche e le integrazioni dei dispositivi legislativi, l’evoluzione del sistema di protezione civile e, in particolare, acquisendo il patrimonio culturale e professionale delle singole Regioni sull’argomento. Le linee guida dovrebbero essere inserite nell’ambito della definizione più generale dei criteri minimi di organizzazione e risposta dei dipartimenti di sanità pubblica / prevenzione nelle emergenze non epidemiche;
- l’Italia dovrebbe promuovere in ambito europeo i temi della sanità pubblica nelle grandi emergenze, sui quali il nostro Paese ha sviluppato esperienze peculiari, anche ai fini dell’integrazione della sanità pubblica nel “meccanismo” europeo di protezione civile.
Quanto sopra enunciato, tra l’altro, è coerente con le raccomandazioni formulate dall’OCSE al termine del lavoro di analisi del sistema italiano di protezione civile. Michael Oborne, Direttore dell’Advisory Unit on Multi – disciplinary Issues OCSE nella prefazione del rapporto “Analisi di gestione del rischio: il Sistema Italiano di Protezione Civile. Risultati e raccomandazioni”, valutando positivamente il sistema complesso di Protezione Civile Italia, ha posto l’accento sull’importanza delle fasi di programmazione, delle attività di previsione e di allertamento. Michael Oborne esorta a garantire, su scala nazionale, i requisiti minimi per la pianificazione e per la preparazione all’emergenza – specialmente a livello territoriale – e predisporre un sistema di verifica dei processi (audit).
Nel 2020 il nostro Paese si è presentato impreparato a gestire la Pandemia Covid -19, a 40 anni dal terremoto dell’Irpinia ricordando l’appello del Presidente Sandro Pertini e la reazione del Nostro Paese che portò con Zamberletti alla nascita della Protezione civile deve farci riflettere sulla gestione delle maxi-emergenze che il nostro Paese si deve dotare per fronteggiare eventi complessi. E come nel 1980 abbiamo assistito alla nascita della Protezione Civile oggi dobbiamo costruire la Prevenzione civile in un’ottica di resilienza e di cittadinanza attiva. Dove i cittadini sono gli attori protagonisti della propria sicurezza e della sicurezza delle Comunità.