Il metodo “COPRE”: continuità produttiva e resilienza delle imprese
di Ing. Francesco Geri, esperto in Risk Management.
L’United Nations Office for Disaster Risk Reduction (UNDRR) in collaborazione con il settore privato italiano, ha condotto di recente un’indagine per identificare e comprendere i rischi che le piccole e medie imprese in Italia stanno affrontando. Al riguardo è stato organizzato il sondaggio “Building Resilience of SMEs” rivolto alla sensibilizzazione delle stesse sulla resilienza e sulla identificazione dei rischi. I primi risultati presentati in occasione dell’incontro previsto per il Global Platform for Disaster Risk Reduction a Ginevra nel Maggio 2019, hanno dimostrato che la creazione di presidi di resilienza per le PMI è un obiettivo prioritario per realizzare la resilienza delle comunità locali e nel contempo circa il 60% delle PMI non è in grado di attivare processi di recovery dopo un disastro (es. sisma, alluvione) ed esce dal mercato in maniera definitiva. In esito all’incontro di Ginevra di Maggio, sono state tracciate le seguenti necessità ai fini dell’incremento di resilienza delle PMI in Europa: rafforzamento dell’impegno del settore bancario e dei governi locali; costruzione di un nuovo “genere” di Business Continuity Planning (BCP); rafforzamento del settore delle utility (es strutture approvvigionamento energia e acqua) e della conoscenza delle interdipendenze con le PMI; costruzione di “capacità” al sistema delle PMI e fornire linee guida “realmente applicabili.
Il business continuity management nelle micro e piccole e medie imprese agroalimentari
Il Business Continuity Management (BCM) si pone quindi come strumento applicativo rispetto alle linee di azione orientate alla resilienza delle micro e piccole e medie imprese. Esso è un processo olistico, complesso e multidisciplinare, finalizzato all’analisi dei rischi di interruzione dei processi critici delle attività produttive, da cui derivano le attività di Disaster Recovery ed i piani di continuità operativa (Business Continuity Plan) finalizzati a mantenere l’attività stessa «sul mercato» evitando così la perdita di tessuto sociale di un territorio a seguito di un evento naturale e/o antropico.
Il metodo COPRE consiste nell’attuare modalità di previsione, prevenzione, gestione delle emergenze e superamento degli ostacoli alla ripresa delle normali attività del territorio, rispetto ai vari rischi presenti, integrandole con i criteri e le modalità della business continuity management per le micro e PMI, facilitandone la resilienza ed il mantenimento della capacità di creare valore a livello locale.
Tuttavia, la prova dei fatti ha reso evidente che una realtà industriale a livello di micro, piccole e medie imprese, non può sostenere un percorso di questo tipo con le sole capacità endogene, richiedendo il supporto di un sistema allargato che può essere identificato con il sistema di protezione civile, dal livello locale al livello nazionale. Questo si rende particolarmente evidente nella fase della gestione emergenziale ed ancor prima, nella fase di definizione ed attuazione del piano di protezione civile comunale. In più, il campo di applicazione del sistema di gestione della continuità produttiva deve tenere conto anche delle interdipendenze con la catena di fornitura, che stanno diventando sempre più complesse, estese (spesso anche a livello internazionale) e mutevoli nel tempo. Risulta quindi di particolarmente importanza prevedere dei meccanismi di Supply Chain Continuity Management (SCCM), in un contesto in cui una calamità può interessare più elementi della catena di fornitura, minando la relazione tra cliente e fornitore. Per quanto riguarda il settore agroalimentare, particolare importanza riveste da questo punto di vista, il concetto di filiera intesa come insieme degli agenti e delle operazioni che concorrono alla formazione e al trasferimento di un prodotto (o di un gruppo di prodotti) allo stadio finale di utilizzazione.
Il metodo COPRE per la pianificazione della continuità produttiva
Tra le attività principali per poter gestire gli aspetti più critici del processo di continuità produttiva per le PMI del settore agroalimentare vi sono: l’analisi di rischio, l’analisi della filiera di settore e delle relative interdipendenze a seguito di evento critico. In fase di preparazione è necessario per il gestore della micro e PMI, avere chiara la distinzione tra il piano di emergenza interno (incident response plan) vero e proprio ed i piani di ripristino (disaster recovery) e di continuità gestionale (business continuity). Il piano di emergenza interno è normalmente la prima parte del piano di ripristino, ovvero la risposta/reazione del personale interno della micro e PMI all’evento nei minuti e nelle ore che seguono l’evento. Il piano di ripristino è il processo continuo per la mitigazione a breve termine delle conseguenze dell’evento, che va oltre la reazione immediata; esso può, in line di massima, essere inteso come un’estensione del piano di emergenza interna. Il piano di continuità gestionale è invece il programma complessivo delle misure messe in atto per far fronte al rischio a livello aziendale e trattare l’interruzione delle normali attività nelle settimane e nei mesi successivi all’evento. Tra le attività ad alta integrazione tra i criteri BCM ed i metodi di protezione civile previste dal metodo COPRE, che possono essere attuate in fase di piano di emergenza interna e piano di ripristino della micro e PMI, vi sono, ad esempio, con riferimento al rischio idrogeologico e al rischio connesso con gli eventi meteorologici estremi, quelle che presuppongono un collegamento consapevole con il sistema di allertamento nazionale.
Attivare questo collegamento consapevole, permette di organizzare e gestire nell’ambito delle micro e PMI, possibili misure di prevenzione non strutturale (attive e passive) per ridurre la vulnerabilità al rischio idrogeologico di strutture, allevamenti ed impianti di trasformazione, all’interno delle aree di pertinenza fluviale. Molte e significative misure di emergenza (es. misure attive) possono essere attuate solo in caso di sufficiente tempo di allerta, che permetta di porre in essere le azioni e gli strumenti necessari a rendere efficienti le misure di sicurezza.
Conclusioni
L’applicazione dei criteri BCM per le grandi strutture industriali può contare su risorse interne delle stesse, l’attivazione di detti criteri per le micro e piccole e medie imprese, è praticamente impossibile. Per attuare quindi i criteri BCM per le micro e PMI del settore agroalimentare, occorre il significativo e fondamentale supporto del sistema complesso di Protezione civile. Quanto espresso porta a pensare alla possibilità di inserire il processo di pianificazione della BCM per le micro e PMI nell’ambito del processo di pianificazione di protezione civile a vari livelli, dal livello locale (anche in gestione associata) fino al livello nazionale. E’ anche possibile pensare ad una pianificazione strutturata per “distretti” produttivi, ovvero per ambiti territoriali ottimali (ATO).
Un ulteriore considerazione, stante la complessità del sistema di risposta in fase emergenziale, suggerisce l’idea di strutturare un raggruppamento omogeneo di attività finalizzate alla rapida ripresa delle attività produttive, ovvero di una apposita funzione di supporto “Continuità produttiva delle micro e PMI” nell’ambito delle attivazioni della struttura di comando e controllo a seguito di un evento calamitoso. Detta funzione, strutturata ad hoc, potrebbe essere in grado di proporre ed attuare soluzioni per la continuità del tessuto produttivo locale, che richiedono una grande integrazione di enti e strutture operanti sul territorio colpito e coordinate nell’ambito dei centri operativi attivati. Peraltro, le attività della funzione possono orientarsi anche alla gestione degli effetti sull’intera filiera, in attuazione dei criteri del Supply Chain Continuity Management (SCCM). Questo porterebbe il sistema di risposta, anche a livello locale, a permettere l’attivazione di capacità di “disaster recovery” delle micro e PMI, con tempistiche compatibili con il MTPD (Maximum Tolerable Period of Disruption), ovvero con il tempo massimo in cui i processi produttivi possono non essere disponibili per evitare la fuoriuscita dal mercato di riferimento.