Ha senso oggi una Scuola Internazionale di maxiemergenze?
Di Enrico Bernini-Carri – Presidente del CEMEC- Consiglio d’Europa
Che la Protezione Civile italiana possa essere considerata una delle migliori e più efficienti del mondo è ormai cosa evidente e riconosciuta, anche in virtù della grande esperienza maturata dal terremoto dell’Irpinia dal 1980 in poi. Personaggi come Alberto Mantovani per la veterinaria, il Ministro Giuseppe Zamberletti poi, hanno tracciato una strada che oggi ci ha portato a essere presenti sul territorio nazionale con una realtà di organizzazione nazionale e regionale di Protezione Civile che si distingue per rara capacità di intervento e di programmazione. Il ruolo stesso del volontariato in questi anni è cresciuto esponenzialmente in professionalità ed efficienza (esperienza unica nel mondo per numero e qualità dei partecipanti).
Una domanda, allora, mi sorge spontanea: come mai con un’esperienza e una capacità così elevata, in tutti questi anni non siamo riusciti a organizzare una Scuola Nazionale di Protezione Civile che possa formare i quadri dirigenti nazionali, regionali e direttivi delle organizzazioni di volontariato?
In trent’anni di esperienza in questo settore (dapprima come medico militare, poi come docente universitario e infine come presidente del CEMEC (Centro Europeo di Medicina delle Emergenze e Catastrofi), ho visto nascere, sopravvivere e morire Scuole di Formazione Regionali e locali che hanno avuto qualche anno (o a volte qualche mese) di gloria, per poi scomparire in un limbo di inutilità e inefficienza o di “galleggiamento”; di contro sono proliferati Master Universitari, Corsi di Formazione o perfezionamento di Organizzazioni di Volontariato, a volte molto avanzati ed efficienti, a volte francamente autoreferenziali e ripetitivi, in mano spesso a persone che hanno lucrato sulla buona volontà di studenti e di cittadini interessati.
Credo sia arrivato il momento di mettere un po’ d’ordine in questo “mare magnum” di istruzioni, formazioni, scuole che hanno finora intercettato e vicariato a una richiesta di professionalità in un campo che, sempre di più, è evoluto in una scienza precisa.
Da queste brevi considerazioni e da chi come attore ha fatto parte del complesso mondo delle maxiemergenze, è nata l’esigenza di poter ordinatamente confrontare esperienze consolidate (lessons learned), nozioni scientifiche integrate e prospettive di sviluppo in questo complesso campo; il tempo dell’”armiamoci e partiamo” è finito (e dubito sia mai esistito nel vasto e integrato pianeta delle emergenze): è ora che la professionalità di tutti gli operatori o almeno di coloro che li dirigono e si interessano a questo mondo, trovi un riferimento culturale stabile e solido.
I Corsi di Disaster Managers, i diversi Master Universitari, hanno tracciato un percorso che merita di essere sviluppato e integrato e in quest’ottica il Consiglio d’Europa, tramite il CEMEC, con l’Accordo Europeo-Mediterraneo sui Rischi Maggiori, ha sposato appieno l’idea di creare una Scuola Internazionale sui Disastri che possa diventare, col tempo, non solo un riferimento nazionale ma anche rappresentare un riferimento culturale internazionale, integrando docenti italiani e stranieri, ognuno con le loro peculiarità, ,ognuno con le proprie esperienze.
Solo un luogo di cultura internazionale di confronto tra realtà, a volte molto diverse (ma tutte con la base comune di saper gestire le emergenze nell’interesse della popolazione), potrà consentirci di continuare a crescere e far crescere quelle nazioni che, per inesperienza o per difficoltà organizzative, non hanno ancora avuto modo di configurare servizi completi ed efficienti di Protezione Civile. Solo una Scuola comune potrà rappresentare un luogo di confronto e di implementazione tra esperienze differenti a livello nazionale, europeo e internazionale e contemporaneamente raggiungere l’obiettivo (perseguito dal Consiglio d’Europa, ma condiviso da tutte le Nazioni) di far crescere la “resilienza” della popolazione, in un mondo dove le catastrofi sono sempre più presenti e devastanti a causa dei cambiamenti climatici e la continua antropizzazione del suolo.